I missionari italiani contro le politiche sull’immigrazione

Duro documento del Cimi contro la «totale mancanza di visione» dell’Europa verso il fenomeno migratorio. Parla Giovanni Munari, superiore provinciale dei Comboniani.

«Noi missionari italiani, a lungo ospiti di tanti popoli d’Africa che ora bussano alla nostra porta, siamo profondamente indignati per quanto sta avvenendo ai migranti nel Mediterraneo per noi “carne di Cristo”, come ama ripetere Papa Francesco… Tutto ciò, per noi, costituisce il naufragio dell’Europa come patria dei diritti».

Non gira certo attorno ai concetti il documento pubblicato una decina di giorni fa, a firma della Conferenza degli istituti missionari italiani (CIMI) – l’organismo che raduna i superiori e le superiore di realtà missionarie di fondazione italiana -, divenuto nel corso degli ultimi giorni la posizione ufficiale dei Comboniani.

Il documento prende di petto “lo scellerato accordo” firmato con la Libia, denuncia la perpetuazione di vendita di armi, di lucri illimitati a scapito delle popolazioni africane, ma soprattutto se la prende con la totale mancanza di visione, con la scarsissima coscienza del fenomeno che riguarda esistenze di donne, uomini, bambini già drammaticamente provati dalla vita, con un tipo di strategia che pensa di risolvere i problemi celandoli agli occhi dei cittadini.

A conforto della dura nota, quasi in contemporanea, giunge nelle sale italiane, preceduto da un’ottima critica a Venezia “L’ordine delle Cose”, il docufilm di Andrea Segre che punta nettamente il dito contro il patto libico e la gestione fuori fuoco oltre che disumana della questione «migranti forzati».

A Vatican Insider il superiore provinciale dei Comboniani, padre Giovanni Munari, spiega la genesi del documento e lo sviluppo della riflessione di questi mesi che ha condotto alla sua redazione.

«Da tempo noi missionari che contiamo una lunga e numerosa presenza in Africa, ci interroghiamo su quanto sta avvenendo in quel continente e quali siano le politiche di gestione dei flussi migratori. Ci sembra sempre più chiaro che la vita delle masse di poveri di alcuni Paesi sia a rischio costante ma che ben pochi provino ad affrontare con la dovuta serietà le cause e gli elementi alla base delle trasformazioni epocali e dei movimenti di intere fette di popolazione.

Come istituti che da secoli offrono la vita per questi Paesi ci riteniamo coinvolti e abbiamo sentito il dovere di dire qualcosa. In Italia, in Europa, ci sono problemi profondi e ci rendiamo conto che la questione delle migrazioni forzate non sia di facile soluzione. Ma allo stesso tempo ci sembra che molto di ciò che si sta facendo tenda a rispondere esclusivamente a esigenze politiche, elettorali, più che a cercare di affrontare seriamente il problema. Li abbiamo allontanati dal nostro Paese senza preoccuparci di cosa sarebbe successo pur sapendo benissimo cosa avviene nei campi di raccolta in Libia».

Da mesi sono drasticamente diminuiti gli sbarchi in Italia e si parla di risoluzione e buona gestione del problema. In realtà il problema è solo stato spostato e, per i migranti, si è drammaticamente aggravato…

«Esattamente. L’impressione è che, proprio come è avvenuto nel 2016 con la Turchia, cui abbiamo affidato sei miliardi di euro per trattenere nel proprio territorio i milioni di rifugiati siriani, bloccando di fatto la rotta balcanica, senza curarci di garantire il minimale rispetto dei diritti umani, anche con la Libia abbiamo siglato un accordo che ha il solo merito di averceli tolti dalla vista. Ora che i TG non aprono più sugli sbarchi, sembra che il problema non esista più.

Mi pare che tutto questo riveli una grossa ipocrisia e credo sia importante che qualcuno, questa ipocrisia di fondo, la denunci. Almeno che si sappia come stanno le cose».

La stragrande maggioranza di testimonianze raccolte da noi giornalisti o da operatori di Ong o dell’Unhcr parlano di trattamenti inumani, crudeli, di torture, violenze di ogni tipo, perpetrate nei campi in Libia. Quelli che vengono intercettati ritornano proprio lì…

«La realtà, infatti, è che alla base di questo accordo c’è quasi esclusivamente la preoccupazione di mettere a tacere, almeno fino alle elezioni, la questione.

Tutti sanno che in Libia avvengono cose atroci, peggiori di quelle che succedono prima o dopo, nel corso delle rotte verso l’Europa, ma si finge di ignorare. La strategia, nel suo complesso (il documento, in un passaggio, fa una accenno critico verso il Migration Compact che, piuttosto che investire a lungo termine, si limita a pagare governi perché blocchino i flussi, ndr) va oltre la volontà di approfondire, non c’è una reale preoccupazione di coinvolgere i Paesi africani per accordi di più ampio respiro».

Padre Munari, in tutto questo agitarsi, pochi fanno emergere che il fenomeno delle migrazioni forzate lambisce appena l’Europa.

Nel 2016, in tutto, sono entrati nel continente meno di 200 mila migranti: una cifra che un’entità ricca, democratica, sviluppata, che conta 500 milioni di abitanti, come la UE, potrebbe gestire con maggior razionalità.

«Il vero peso delle migrazioni forzate, lo sostengono l’Africa, il  Medio Oriente, l’Asia Minore, altro che l’Europa. Un mio confratello che vive dal nord dell’Uganda, ad Arua, mi ha detto che negli ultimi mesi, sono arrivati un milione di profughi dal vicino Sud Sudan e che nell’ultimo anno la popolazione locale è raddoppiata.

Per non parlare dell’Etiopia, dove arrivano centinaia di migliaia di eritrei, sudanesi, somali, o del Ciad o ancora del Libano (dal 2011 ad oggi sono entrati nel piccolo Paese dei cedri, 1,5 milioni di profughi siriani, su una popolazione di 4,2 milioni, ndr).

È giusto porci il problema e non sottovalutarlo anche qui in Europa, ma non si può assolutamente dire che vengono tutti da noi. È un fenomeno che affligge molto più i Paesi più poveri.

Mi permetta di concludere con una battuta rispetto a presunti appoggi che le politiche migratorie del governo italiano avrebbe avuto dal Santo Padre negli ultimi tempi. Noi abbiamo molti dubbi a riguardo. Al contrario pensiamo che le posizioni del Papa siano state sempre molto più profonde e che i suoi richiami vadano molto al di là di un semplice allontanamento dei migranti».

Articolo preso da: La Stampa