KWIBUKA 27: LA MEMORIA

27 anni fa, nell’aprile del 1994, ha avuto inizio il genocidio contro i Tutsi, il più veloce della storia dell’umanità, che ha provocato più di un milione di vittime in 100 giorni. Ciò che colpisce, oltre alla quantità delle vittime, è la velocità: 10.000 morti al giorno, 400 cadaveri all’ora, 7 corpi al minuto, un omicidio ogni 10 secondi. Migliaia inoltre le donne stuprate, centinaia di migliaia i bambini rimasti orfani.

In Rwanda, un piccolo Paese nel centro dell’Africa, si è scritta una delle pagine più drammatiche e dimenticate della Storia del 20° Secolo. Tutto ciò nella più totale indifferenza della Comunità Internazionale.

“11 settembre 2001: le Torri Gemelle cadono. Muoiono 3000 persone. Il mondo si ferma.

6 aprile 1994: in Rwanda per 104 giorni caddero 3 torri gemelle ogni giorno. Tutti i santi giorni. Ma a nessuno è importato

LA DIVISIONE ETNICA E LA PROPAGAZIONE DELL’ODIO

Quanto è avvenuto in Rwanda ha origine nelle politiche di divisionismo dei colonizzatori, belgi prima e francesi poi, che hanno applicato il principio del divide et impera, dividendo la popolazione in 3 etnie, in base a caratteristiche fisiche come l’altezza, la forma del naso, ecc. e seminando i primi semi dell’odio, come strumento di controllo politico.

E così, in un paese dove si parlava la stessa lingua, si praticavano la stessa religione e le stesse tradizioni, e dove erano frequenti i matrimoni misti, i colonizzatori belgi, nel 1933, introdussero l’indicazione dell’etnia sui documenti di identità.

Il clima di odio etnico che era stato pianificato nascondeva gli interessi di controllo politico, la corruzione, lo sfruttamento delle risorse, questioni complesse a cui era più facile rispondere dicendo: “la colpa è dell’altro, del diverso, dello straniero!”, riferendosi ai Tutsi, la minoranza etnico-sociale pari al 10% della popolazione.

“Se non ci fossero i Tutsi, staremmo tutti meglio… Hanno invaso la nostra terra… Sono “Inyenzi” (scarafaggi)… Sono una minaccia per la nostra gente!” questo è quanto trasmetteva la radio estremista RTLM nelle settimane che precedettero il genocidio. La soluzione al problema? Semplice. «Ammazziamoli tutti quanti! Dal primo all’ultimo».

Quando il 6 aprile 1994 il presidente rwandese Habyarimana muore in un attentato, gli estremisti Hutu iniziano ciò che era già stato pianificato e preparato da tempo: «Elimineremo tutti i Tutsi dalla faccia della terra».

Come è ben raccontato dal film Rwanda, da quel giorno, per 100 giorni, ciò che conta davvero è la tua struttura fisica e quanto compare sul tuo documento d’identità alla voce “razza”: se c’è scritto “Hutu” devi uccidere, se c’è scritto “Tutsi” devi morire.  [http://www.rwandailfilm.it/la-storia/]

RICORDARE PER NON RIPETERE

Questa pagina di storia, che in apparenza sembra lontana nel tempo e nello spazio, si mostra oggi in tutta la sua disarmante attualità, con le ragioni che stanno alla base dei conflitti che tutt’ora si consumano in moltissimi Paesi nel mondo, insegnandoci quali sono i meccanismi che innescano una guerra. Come allora, tutto parte dalla legge del “divide et impera”, dalla “creazione di un nemico”, che nel caso del Ruanda erano i Tutsi. Un po’ quello che sta succedendo anche oggi in Italia, con l’immigrazione.

Per questo è fondamentale guardare il passato, per riuscire a capire meglio il presente, cosa effettivamente sta accadendo e quali sono i problemi reali. È importante ricordare quanto successo, perchè fatti del genere non devono mai più ripetersi.

Spesso in Italia la gente conosce davvero poco di questo evento, che riguarda sì l’Africa ma anche l’Europa. Il nostro continente, infatti, in particolare la Francia, ha avuto gravissime responsabilità: ha appoggiato gli estremisti genocidi, ha fornito armi, ha addestrato milizie e ha protetto la fuga dei peggiori criminali. Addirittura ha cercato di fomentare un revisionismo dei fatti.

In Rwanda anche l’Onu ha fallito. L’organizzazione internazionale avrebbe infatti potuto evitare questo terribile evento, ma non è intervenuta.

Oggi il Rwanda, dopo 27 anni, mostra una grande crescita economica e sviluppo, grazie alla politica di riconciliazione della popolazione e al perdono. Ciò dimostra che quello che ci unisce è più grande di ciò che ci divide.